Page Nav

HIDE

Grid

GRID_STYLE

Right Sidebar

TO-RIGHT

Classic Header

{fbt_classic_header}

Top Ad

In evidenza

latest
//

INTERVISTA A CLAUDIO PANFILI, SEGRETARIO NIDIL E RESPONSABILE SOL CGIL FROSINONE LATINA

Orientamento , Mercato del Lavoro , Formazione e Politiche Pubbliche volte ad assicurare non solo una giusta e sana ripresa, ma anche un f...


Orientamento, Mercato del Lavoro, Formazione e Politiche Pubbliche volte ad assicurare non solo una giusta e sana ripresa, ma anche un futuro basato su qualità e dignità lavorativa sono gli obiettivi che la classe politica deve mettere in agenda in maniera prioritaria. Questo al fine di progettare un futuro che sia all’altezza e sappia sfruttare i cambiamenti ed i progressi che l’innovazione sta già attuando.

I Sindacalisti dell’Orientamento al Mercato del Lavoro intervistano Claudio Panfili, Segretario Generale del NIDIL CGIL Frosinone Latina e Responsabile SOL CGIL, cercando di capire quale sia il punto di vista del Sindacato su questi temi.

Disoccupazione giovanile che si attesta tra il 25 ed il 27%, circa due milioni di giovani NEET (non impiegati attivamente in percorsi di lavoro, studio o misure di politica attiva) e disallineamento delle competenze (mancato incontro tra le esigenze occupazionali delle Aziende e le competenze offerte da chi ricerca lavoro): sono solo alcuni dei dati allarmanti forniti dai vari Osservatori che si occupano di indagini statistiche sui temi legati al Mercato del Lavoro.
Quale ruolo possono e devono ritagliarsi il Sindacato ed i Sindacalisti dell’Orientamento al Mercato del Lavoro nella programmazione della fase di ripartenza?

Il sindacato deve evolversi. Innanzitutto comprendere una volta per tutte che, politicamente e ancor più socialmente, inoccupati, disoccupati e studenti hanno lo stesso valore di chi è lavorativamente attivo. Sono gli individui intesi come persone che devono rappresentare il centro della società civile, occorre quindi ripartire dalle donne e dagli uomini: analizzare e comprendere le problematiche, le criticità e i fattori scatenanti di determinati fenomeni come appunto la disoccupazione giovanile alle stelle e il mismatch tra domanda e offerta; bisogna andare ad agire laddove politica e stato sociale stentano. In questo senso sono convinto che la CGIL, in particolare con i contenuti dell’ultimo documento congressuale, stia provando ad andare nella giusta direzione: la dignità della persona prima ancora che del lavoratore, una vita dignitosa prima ancora di un lavoro dignitoso, cosa che già di per se in molte realtà ancora oggi è un miraggio. Certamente abbiamo i mezzi e le competenze per poter vincere questa sfida: dobbiamo far valere le nostre ragioni nel governo dei processi di cambiamento attraverso la contrattazione inclusiva e la contrattazione sociale in tutti i tavoli, dal livello territoriale al livello nazionale; altrettanto importante è avere in tutte le nostre sedi funzionari preparati in grado non solo di revisionare curricula e fare bilanci di competenze, ma che abbiano soprattutto capacità di analisi del mercato del lavoro locale, del momento storico e delle tendenze, così come rapporti consolidati con le federazioni di categoria, i servizi, le istituzioni, i soggetti pubblici e privati, come ad esempio CpI e ApL.


Il tema dell’“Orientamento al Mercato del Lavoro” sembra essere divenuto fondamentale negli ultimi anni e, soprattutto, sembra essere al centro del dibattito pubblico. Perché è così importante dedicare del tempo ad “Orientare” nelle varie fasi di crescita e sviluppo della persona?

Credo, molto semplicemente, che rispetto a trenta, quaranta, cinquanta anni fa siano aumentati notevolmente i periodi di transizione, non solo lavorativa, nella vita delle persone. Questo, ovviamente, a causa della flessibilità e dalla precarietà portate dal neo liberismo, ma anche dalla naturale evoluzione della società: oggi come oggi, persone che svolgono lo stesso lavoro fino alla pensione, che abitino nello stesso posto per tutta la vita sono una rarità. Se a questo ci aggiungiamo che l’odierno mercato del lavoro italiano propone un’offerta tanto ricca nella quantità, quanto povera nella qualità, in particolare per quel che concerne l’inquadramento contrattuale, è chiaro che le persone abbiano sempre più bisogno di un supporto professionale per affrontare in modo più sereno questa tipologia di cambiamenti che spesso e volentieri portano con loro sentimenti di delusione, angoscia e paura per il futuro. Già il fatto che il tema sia centrale nel dibattito pubblico è una buona cosa, così come sono da apprezzare alcuni tentativi di approcciare la questione in maniera strutturata, ma è chiaro che le politiche messe in campo finora sono ancora insufficienti, pensiamo all’epilogo della vicenda dei Navigator.


Tornando al tema della Formazione e delle Politiche Attive del lavoro è utile sottolineare come il nostro Paese sia il fanalino di coda rispetto all’utilizzo degli strumenti di Formazione Continua. I Fondi Bilaterali e di origine Contrattuale dovrebbero forse essere utilizzati ed agiti dalle imprese in maniera ottimale, ricordando come l’investimento sul capitale umano sia un fattore di crescita nel sistema economico. Qual è il punto di vista del Sindacato su questo tema?

Anche in questo senso la CGIL, da molto tempo, è convinta e sostiene la necessità, ormai imprescindibile, di una formazione obbligatoria, costante e continua in tutti i luoghi di lavoro per tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori. L’effetto sarebbe duplice: da un lato, si eleverebbero capacità e competenze della forza lavoro con un conseguente impatto positivo sulla qualità del processo produttivo e del prodotto; dall’altro, la persona sarebbe realmente protagonista avendo possibilità di crescita, di arricchimento culturale e di evoluzione, acquisendo valore all’interno del mercato del lavoro ed eventualmente affrontare con maggiore consapevolezza anche eventuali transizioni, ma soprattutto vedere affermata la propria di dignità di lavoratore e di persona. Certamente, ad oggi, è proprio nella bilateralità di settore che si registrano le cose più propositive in tal senso, penso a Formatemp ad esempio. È ovvio però che se i datori di lavoro non fanno la loro parte resta il problema culturale di fondo. Ed è qui che devono entrare in gioco obbligatorietà e politiche attive. Io sono convinto che welfare e politiche attive testimonino il grado di civiltà di un paese e purtroppo le politiche attive del lavoro messe in campo dai governi in Italia, nell’ultimo decennio e più, si sono rivelate troppo spesso inadeguate e fallimentari. Nella maggior parte dei casi hanno rappresentato un cuscino temporaneo per tamponare emergenze sociali senza alcuna visione in prospettiva e ancor peggio di sovente sono state figlie di mere strategie politico elettorali. Il sindacato, per forza di cose, ha dovuto provare in tutti i modi a colmare questi vuoti prodotti dalla politica, ma non è stato né facile e né, soprattutto, risolutivo.


Per concludere Claudio, a tuo avviso, quali nuovi modelli e politiche pubbliche potrebbero essere intrapresi dai prossimi Governi per attenuare e ridurre il problema della disoccupazione, giovanile e non, legato anche alla progressiva digitalizzazione, che sta spingendo sempre più ad una automazione delle attività produttive?

Sono convinto che in un paese civile ed evoluto ci debbano essere strutture dove i disoccupati possano recarsi, essere seguiti e supportati gratuitamente, avere uno spazio di coworking per le loro attività di ricerca e per fare Job Club con il sostegno di professionisti. E che ciò non sia affidato a sperimentazioni di carattere locale, alla bontà dei singoli, di associazioni e quant’altro. Deve essere strutturato e regolamentato a livello statale, da nord a sud, dai piccoli centri alle metropoli. Questo nella pratica. Per arrivarci occorre una riforma del lavoro totale, che coinvolga privato e pubblico, che impedisca di poter assumere in dieci modi diversi la stessa persona per lo stesso lavoro generando dumping salariale, che abbia come unici obbiettivi un Lavoro di qualità e la dignità dell’individuo, in tutte le fasi della sua vita lavorativa e non; una riforma dove la gestione delle transizioni occupazionali e l’orientamento rappresentano sicuramente una parte fondamentale in cui investire risorse e impostare una progettualità a lungo termine.

La digitalizzazione non è una minaccia, ma una grande opportunità. Questo prima lo capiamo meglio è, a partire da noi sindacalisti. La digitalizzazione abbatte i costi, l’inquinamento, le distanze (non solo quelle geografiche), i rischi per la salute. La digitalizzazione produce nuova occupazione. Starà a noi far si che si produca occupazione sana e di qualità esercitando come sappiamo fare la contrattazione: che si tratti di un accordo di secondo livello per Amazon sul territorio o delle grandi transizioni tecnologiche il ruolo del sindacato sarà determinante. Stare dentro i processi di cambiamento e governarli, mai rifiutarli a prescindere, sarebbe un errore imperdonabile. Credo sia possibile un futuro con meno inquinamento, con lavori meno usuranti, con meno povertà, con una qualità della vita migliore, con un’economia più equa e con opportunità che siano veramente pari per tutti. Credo fortemente nelle nuove generazioni e che si potrà concretamente disegnare un mondo nuovo, ma ciascuno di noi dovrà fare la propria parte.