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SCUOLA, BILANCIO TRA PROTESTE E DAD IN UN’ITALIA CON TROPPI DIVARI SOCIALI

L’anno scolastico si è appena concluso, ad eccezione per i maturandi e per i ragazzi dell’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado...


L’anno scolastico si è appena concluso, ad eccezione per i maturandi e per i ragazzi dell’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado e i loro insegnanti. Quale è il bilancio che possiamo fare?

Il corpo docente ha indetto uno sciopero a fine maggio. Al centro della protesta i temi controversi del DL 36/2022 in fase di conversione. Un decreto che incide pesantemente nella organizzazione delle attività didattiche limitando la libertà di insegnamento, nel reclutamento, nella formazione, nelle risorse per il contratto e per i precari. La richiesta è che il Governo investa in istruzione e ricerca e avvicini i salari dei docenti italiani agli stipendi dei colleghi europei.

Anche gli studenti hanno manifestato a febbraio scorso contro il ripristino del secondo scritto all’esame di maturità. Non vogliono siano loro a pagare le conseguenze di tre anni di didattica discontinua, a distanza e/o in presenza. Tre anni nei quali le misure del Governo non hanno saputo fronteggiare tempestivamente nell’emergenza sanitaria il diritto all’istruzione e facendo ricadere tutte le difficoltà di gestione scolastica causate dalla pandemia sugli studenti e sul personale scolastico, ma soprattutto sulle famiglie.

Non dimentichiamo le difficoltà delle famiglie che non furono in grado di sostenere nell’immediato una tale situazione sia dal punto di vista tecnologico - dove nel migliore dei casi in famiglia c’era un pc e un collegamento internet veloce, che non bastava se avevi più figli o se c’erano anche genitori che lavoravano da casa – che dal punto di vista organizzativo, pensiamo alle famiglie in cui gli adulti lavoravano in presenza e lasciare bambini a casa era una scelta difficile o impossibile.

La fotografia di marzo e aprile del 2020, ma anche nei mesi successivi, ci ha mostrato palesemente evidente che il nostro Paese va a diverse velocità. Ci siamo accorti che esistono scuole del nord e del sud, quelle delle grandi città e quelle delle periferie, che ci sono studenti di serie A e quelli di serie B, che ci sono famiglie povere e famiglie che hanno potuto permettersi di comprare strumenti informatici per i figli, che ci scuole con discrete risorse e altre no, e che la rete per la connessione veloce non raggiunge tutti i luoghi della nostra penisola. In tutto questo abbiamo anche scoperto che c’è la solidarietà di tante persone che hanno regalato alle scuole dei computer, tablet da distribuire agli studenti.

Quel che fa più rabbia è che oggi, dopo aver passato la situazione emergenziale della pandemia, sono cresciute la povertà economica delle famiglie (Istat 2021 povertà assoluta, 5,6 milioni) e la povertà educativa, confermando quel legame che c’è tra povertà ed educazione.

Occorre combattere diseguaglianze e miseria per consentire ai ragazzi e alle ragazze, sui banchi di scuola, di costruirsi un futuro, perché altrimenti da adulti, avranno più difficoltà ad ottenere lavori stabili e ben retribuiti e saranno più a rischio di esclusione sociale.

Purtroppo uno degli effetti post pandemici è una quota importante di abbandono scolastico, influenzati da fattori che anticipavamo prima come la mancanza di strumenti tecnologici, l’assenza di connessione veloce e a volte il non costante sostegno familiare.

Secondo gli ultimi dati forniti dall’Eurostat la dispersione scolastica nel 2020 in Italia è pari al 13,1% con una media Europea al 9,9.

La dispersione è in primis ricollocabile alla mancata disponibilità di strumenti tecnologici. Questa è la conferma dell’importanza di un investimento sempre più improrogabile nel campo della digitalizzazione almeno così speriamo, essendo un’area specifica di riforma e investimento identificata anche dallo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Altro aspetto legato all’abbandono poco analizzato è che, sebbene negli anni passati questo fenomeno era in diminuzione, la pandemia ha di nuovo fatto tornare in crescita la percentuale dei ragazzi che lavorano. Questo fatto può dipendere in parte dalla chiusura delle scuole, quindi dalla mancata socializzazione dei ragazzi, dall’isolamento, dall’altra una difficile situazione economica familiare (perdita di lavoro dei genitori, disabili in famiglia).

Il lavoro è tornato a essere un'alternativa alla scuola, alla formazione, all’università, e un aiuto alla famiglia. Ciò ci conferma che nell’emergenza pandemica ha aumentato le diseguaglianze e a farne le spese sono stati proprio i bambini e i giovani delle famiglie più fragili.

La crisi economica seguita poi all'emergenza Covid ha avuto gli effetti negativi sulla parte di popolazione in età di lavoro ma meno istruita e formata, penalizzando soprattutto le giovani generazioni tra cui anche i neet.

Un altro argomento che ha interessato la scuola in questo anno scolastico e che ha colpito tutti, è stata la prematura e tragica morte di tre ragazzi che si trovavano in azienda, inviati dai rispettivi istituti scolastici, per una attività di stage o PCTO (ex alternanza scuola lavoro).

L’esperienza di PCTO dovrebbe essere parte della didattica e dell’esperienza formativa delle ragazze e dei ragazzi nei luoghi di lavoro sicuri.

È palese che il problema principale è la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro dove questi ragazzi andranno a fare la loro esperienza. Ma chi verifica che si tratti di formazione e no di lavoro? Chi li affianca nella loro esperienza formativa, ma soprattutto, chi li forma rispetto al tema sicurezza? L’azienda? La scuola?

Rispetto queste ultime domande, informiamo che è stato sottoscritto lo scorso mese un protocollo tra Inail, Ministero del Lavoro, Ministero dell’Istruzione e INL che prevede la realizzazione di azioni congiunte per aumentare la consapevolezza del rischio nelle istituzioni scolastiche, a partire dai giovani impegnati nei Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento. (PCTO).

Il SOL CGIL è consapevole da tempo della necessità di incrementare, coinvolgendo i dirigenti scolastici e i docenti, interventi nelle scuole che siano utili a educare alla cultura e ai diritti del lavoro, e alla diffusione della cultura e della consapevolezza della prevenzione nei luoghi di lavoro. Un lavoro di orientamento che non sia episodico ma che intrecciandosi con la didattica sia formativo in modo diacronico.