Dalla lettura dei dati Istat relativi a dicembre 2024 emerge che il mercato del lavoro italiano sta attraversando una fase di stagnazione...
Dalla lettura dei dati Istat relativi a dicembre 2024 emerge che il mercato del lavoro italiano sta attraversando una fase di stagnazione, pur restando vicino a numeri da record. Un rallentamento che il nostro Paese, fanalino di coda in UE per tassi di occupazione, retribuzioni e produttività, non sembra però potersi permettere.
I dati Istat del 31 gennaio 2025 mostrano che a dicembre 2024 il numero di occupati supera quello di dicembre 2023 dell'1,2% (+274 mila unità). Tale aumento coinvolge uomini, donne e chi ha più di 35 anni, mentre per i giovani tra i 15 e i 34 anni si registra una diminuzione. Il tasso di occupazione, su base annua, sale di 0,3 punti percentuali. Tuttavia, a dicembre 2024, l'occupazione cala leggermente rispetto a novembre (meno 4.000 unità). È importante notare che, pur restando al 62,3%, l'occupazione continua a diminuire per il secondo trimestre consecutivo. Dal punto di vista tendenziale, la crescita rispetto al 2023 è significativa, ma su base trimestrale il rallentamento è evidente (+0,1%).
Un altro segnale di rallentamento del mercato del lavoro è la dinamica tra disoccupati e inattivi: sebbene gli inattivi diminuiscano, aumentano i disoccupati in misura quasi uguale. Gli inattivi che hanno scelto di rientrare nel mercato del lavoro hanno trovato difficoltà nell'accesso al mercato del lavoro (MdL).
Nonostante questi dati, la propaganda del Governo sostiene che nel 2024 è stato raggiunto il massimo livello di occupazione, sventolando risultati senza precedenti. Tuttavia, come ripetiamo frequentemente, è la qualità del lavoro che non viene adeguatamente analizzata, e i dati, inoltre, non coinvolgono tutte le fasce d'età, penalizzando in particolare i giovani (15-34 anni) e le donne.
Rispetto a dicembre 2023, diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro (-11,8%, pari a -213 mila unità), mentre cresce il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (+1,4%, pari a +167 mila). È importante chiedersi il motivo di questi dati. I numeri sono freddi e non comunicano il loro vero significato senza un'analisi qualitativa, oltre che quantitativa.
In sintesi, l'occupazione si consolida nelle fasce di età più adulte, escludendo progressivamente i giovani. D'altronde, l'incremento occupazionale non corrisponde a una crescita economica proporzionale per i lavoratori; le ore lavorate per addetto diminuiscono, come accade ormai dal primo trimestre 2023, e con esse diminuisce anche la produttività, sia nell'industria che nei servizi.
Relativamente, si segnala un miglioramento del dato sulla CIG (cassa integrazione guadagni): dopo le punte di settembre e ottobre, a novembre e dicembre le ore autorizzate sono significativamente diminuite, ma restano nella media dell'anno senza alcun miglioramento.
Nonostante le performance degli anni post-COVID, i dati raccontano una situazione ben lontana da un miracolo economico, come affermato dal governo. A stento sono stati nuovamente raggiunti i livelli pre-pandemia, con l'eccezione del tasso di occupazione. Come già osservato, non ci sono miglioramenti nella qualità dell'occupazione, nell'aumento delle retribuzioni né nell'incremento della produttività. Ora, cominciano a manifestarsi, come previsto, i primi segnali di rallentamento della crescita. Sebbene l'economia globale abbia un ruolo importante, non ci sono indicazioni di una nuova crescita che possa trainare l'occupazione. Al momento, non vediamo segni di una nuova prospettiva positiva.
L'Osservatorio Excelsior-UnionCamere ci informa che a gennaio le aziende hanno programmato quasi 500 mila assunzioni, ma la metà di esse sono rimaste vacanti. Le aziende riferiscono delle difficoltà nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro (mismatch). L'offerta non riesce a incontrarsi con la domanda a causa di problematiche relative ai profili professionali e alla mancanza di politiche del lavoro che facilitino l'incontro tra le due parti. Neppure l'intervento sulla formazione dei lavoratori sembra sufficiente, e le inadeguatezze dei percorsi scolastici contribuiscono in maniera significativa.
Crediamo che sia necessario intervenire con misure serie e mirate, altrimenti l'Italia rischia di trovarsi con una parte della popolazione adulta che non produce reddito e che dovrà essere mantenuta a carico del sistema pubblico.
Come SOL CGIL, crediamo che il lavoro renda autonome le persone, permettendo loro di vivere con piena indipendenza, in particolare le donne.