Page Nav

HIDE

Grid

GRID_STYLE

Right Sidebar

TO-RIGHT

Classic Header

{fbt_classic_header}

Top Ad

In evidenza

latest
//

LE COMPETENZE DIGITALI

L’ultimo decennio lo ricorderemo, sicuramente, anche per la spinta che ha investito la nostra società in ambito digitale: un passo rapido, i...



L’ultimo decennio lo ricorderemo, sicuramente, anche per la spinta che ha investito la nostra società in ambito digitale: un passo rapido, in avanti, che ha portato con se maggior benessere ed utilità, ma che necessità di una profonda riflessione sulla ricaduta in ambito lavorativo ed occupazionale al fine di evitare che una obsolescenza vada a colpire i settori produttivi ed in generale il mercato del lavoro, già martoriato da una forte competitività e flessibilità occupazionale.

La definizione delle “competenze digitali” è andata sempre di più cambiando nel corso degli anni: se all’inizio dell’era della trasformazione digitale potevano essere riconosciute nella conoscenza e nell’utilizzo degli strumenti informatici, oggi dobbiamo codificarle come la “valutazione, l’utilizzo e la produzione con un approccio critico”, quindi molti degli aspetti attuali hanno una vera e propria declinazione su una utilità che possiamo definire come non standard.

Innovazione e digitalizzazione, con uno sguardo rivolto al futuro, diventano perno centrale per migliorare la competitività delle imprese, la qualità del lavoro ed il benessere sociale, ma una partita importante viene giocata in ambito formativo e nell’orientamento al digitale. Conoscenze, applicazione pratica e fruizione diventano determinanti, ed un sano modello formativo e di sviluppo programmato deve coinvolgere il mondo della Scuola ed il sistema Istruzione e Formazione Professionale.

Possiamo, quindi, affermare che gran parte del futuro del lavoro dipenderà da come saremo in grado di affrontare e rispondere alla transizione digitale, e cioè l’adeguamento generale ad un nuovo livello avanzato delle nuove tecnologie.

Nel corso della storia l’innovazione ha ridefinito gli ambiti di azione dell’agire collettivo: pensiamo ad esempio alla rivoluzione industriale che introdusse le macchine a vapore, o al XX secolo, dove abbiamo l’avvento delle prime forme di informatica ed elettronica nelle fabbriche. Oggi, il fenomeno che stiamo vivendo è la cosiddetta Industria 4.0 (denominata così perché indica l’uso di tecnologie che non solo permettono l’automazione ma anche l’interconnessione dei sistemi di produzione e di esecuzione e di vendita).

Questo salto in avanti, che nei prossimi anni verrà caratterizzato da una forte accelerazione porta con se due necessità: da un lato la ricerca di figure sempre più qualificate e competenti, soprattutto professionalità di nuova generazione che siano un valore aggiunto per l’impresa, dall’altro una quasi necessità di aggiornamento permanente che permetta a tutti di acquisire competenze per rimanere in linea ed ai lavoratori, nello specifico, di essere al passo con il mercato del lavoro.

In buona sostanza questa epoca ci porta a dover ridisegnare ed immaginare le professioni esistenti. Il futuro ci consegna una certezza: le professioni esistenti, in parte, non esisteranno più a fronte di nuove specializzazioni e ciò genererà nuovi bisogni nelle imprese e, di conseguenza, nei lavoratori e nelle lavoratrici. E non possiamo rimanere immobili di fronte a questa situazione.

Secondo uno studio condotto dall’Unione Europea, nel prossimo futuro 8 lavori su 10 richiederanno competenze in ambito digitale e ci sarà la necessità di un aumento della formazione nei settori STEM (“Science, Technology, Engineering and Mathematics), oltre ad un dato statistico di crescita di salario per i lavoratori impiegati in questi settori.

Inoltre, la Pandemia ha velocizzato questo processo (non fosse altro per la necessità di una velocizzazione della connessione in ambito comunicativo) e ci ha fatto prendere contezza che una disuguaglianza pratica è stata creata nei territori con maggiore arretratezza tecnologica ed in coloro che avevano poca dimestichezza o non potevano permettersi forme di tecnologia.

Viene, quindi, da chiedersi quale sia la “giusta” transizione. Sicuramente questa domanda pone seri interrogativi: se da un lato lo sviluppo diviene necessario e strumento di innalzamento del livello di benessere, dall’altro apre uno spaccato che si declina come una “marginalizzazione sociale e lavorativa”.

Elaborare una sana transizione, che veda nell’ottica dell’inclusività digitale, richiede una elaborazione di un piano che coinvolga tutti gli attori sociali nell’ottica di una piena e buona occupazione. Il modello da immaginare deve rispondere non a semplici logiche di mercato ma ad una valutazione che sia sostenibile e socialmente equa.

Diventa doveroso ed imprescindibile rispettare una idea che metta lo sviluppo ed il lavoro sullo stesso piano, al fine di rendere esigibile il tema della riqualificazione e della protezione della piena occupazione.

Questo modello può immaginarsi solo in forma di dialogo condiviso, in cui il ruolo delle Parti Sociali diviene centrale quali soggetti riconosciuti, quali portatori di una rappresentanza della centralità del diritto del lavoro e della permanenza nel luogo di lavoro.

Tale modello può realizzarsi già da subito con azioni di concertazione dal basso che vedano le buone prassi aziendali come pratiche a cui ispirarsi per organizzare un nuovo modello di lavoro e sviluppo in cui diviene centrale il ruolo della concertazione.