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FORMAZIONE PROFESSIONALE E QUALITÀ DELL'OFFERTA FORMATIVA COME STRUMENTO DI RI-COLLOCAZIONE

La conoscenza è tutto. È l'unica cosa che conti oggi. Sembrano luoghi comuni, molto dibattuti. Se però oggi siamo arrivati a trattare e ...


La conoscenza è tutto. È l'unica cosa che conti oggi. Sembrano luoghi comuni, molto dibattuti. Se però oggi siamo arrivati a trattare e contrattare le politiche della formazione continua, probabilmente, la partita per l'uguaglianza e la parità di accesso alle diverse forme di sapere da parte dei più "deboli e precari" è ancora da giocare. A maggior ragione se pensiamo alle conquiste collettive per il diritto allo studio e "del sapere diffuso", al processo di democratizzazione della conoscenza nel più ampio quadro del diritto di cittadinanza e della valorizzazione dell'individuo.

In Italia, le azioni sindacali e le lotte di classe degli anni ’60 e ’70 hanno portato a grandi conquiste: pensiamo al CCNL dei lavoratori metalmeccanici con le 150 ore di "diritto allo studio" per ridurre l’analfabetismo nelle fabbriche, ma anche all’apertura degli Atenei a operai e cittadini che potevano così frequentare corsi monografici, di cittadinanza e di emancipazione femminile.

Sono state esperienze importanti per i cittadini e le cittadine, ma anche per le lavoratrici ed i lavoratori che hanno potuto agire il diritto alla partecipazione ai percorsi di formazione nei contesti paritetici, interprofessionali ed aziendali, fino a giungere al diritto alla formazione permanente per tutti e lungo tutto l'arco della vita della persona.

Percorsi, questi, che rientrano in una visione molto più ambiziosa della semplice "competitività", ma che sono frutto di quella direttrice ideologica che vede la conoscenza, come definita dal segretario generale della CGIL Bruno Trentin, nei suoi scritti, quale strumento per divenire pienamente consapevoli del proprio lavoro, quale mezzo per creare un "contesto collettivo" e poter "rompere l'isolamento", per superare la matrice stessa della discriminazione, in particolare la differenza tra chi sa e chi non sa.

Tutto ciò, in uno spaccato temporale ed economico come quello attuale, ci deve portare ad alzare l'asticella della difesa dei diritti, ponendo particolare attenzione alla tutela individuale e collettiva dei più deboli. Ossia di chi oggi è poco rappresentato, perché spesso disperso in mille categorie e forme contrattuali differenti tra loro: isolati ma accomunati da povertà salariale, precarietà occupazionale, transizione ed alternanza tra brevi periodi di lavoro a tempo determinato e periodi di disoccupazione.

La tendenza da invertire è quella di una formazione, anche aziendale, che guarda al breve periodo e che ha interesse ad incassare fondi e ad ottimizzare un segmento particolare di processo, senza prendersi cura della centralità e totalità della persona e della comunità in cui opera e vive. Infatti, se da un lato, nel contesto europeo, si sostengono e si valorizzano i percorsi permanenti oppure si individuano le professioni che necessitano di un aggiornamento continuo e definito, dall'altro ci si trova d'innanzi a percorsi co-finanziati dai fondi aziendali e bilaterali (contrattuali) con limitata capacità d'incidere su processi d'innovazione, sviluppo e rafforzamento delle competenze.

Eppure proprio oggi avremmo bisogno di altro. Abbiamo a che fare con un'evoluzione e un cambiamento tecnologico che in breve tempo rendono obsolete qualifiche e professioni. Le "vecchie" competenze rischiano di trasformarsi in "antichi saperi" molto presto, diventando poco spendibili sul mercato del lavoro.

In questo contesto, causa crisi economica prima e pandemia poi, a pagarne le conseguenze sono come sempre i lavoratori precari, discontinui, i disoccupati, figli delle scellerate politiche di flessibilità che da più di vent'anni caratterizzano il mercato del lavoro nazionale, europeo e mondiale.

Anche sul piano dell'offerta formativa le cose debbano cambiare. Come SOL CGIL nella contrattazione e nel confronto con attori pubblici e privati sosteniamo e pretendiamo modelli, approcci e strategie che mettono al centro l'innovazione, il sapere e la conoscenza, come strumenti di tutela e di armonizzazione nei periodi di transizione lavorativa, a difesa dei più deboli e dei più sfruttati.

Tutto questo, per bilanciare e regolamentare domanda/offerta di lavoro, diritti, tutele individuali e collettive, responsabilità sociale ed imprenditoriale, nell'ottica di un corretto utilizzo della "flessicurezza", della permanenza ed accesso al mercato del lavoro.

Vuoi saperne di più? Contatta il SOL CGIL più vicino a te!